Durante l’infanzia, l’alimentazione influisce sulla crescita e sullo sviluppo, per questo motivo è importante stabilire delle buone abitudini alimentari che abbiano un beneficio immediato e investano un ruolo preventivo per la salute.
Durante tutto l’arco di vita può esserci capitato di sperimentare o assistere ad un consumo di cibo non strettamente “regolamentato” dalla fame. Già dall’infanzia è possibile osservare comportamenti alimentari che deviano dalla norma: il bambino mangia più o meno di quanto dovrebbe.
1. Nature o Nurture?
Come spesso avviene, la nascita delle preferenze alimentari e più in generale del comportamento alimentare risulta da un’interazione tra natura e ambiente.
Il gusto si sviluppa già dall’ottava settimana di gravidanza, in cui il feto è in grado di riconoscere i composti aromatici nel liquido amniotico.
Gli alimenti con cui si nutre la madre, infatti, influenzano questi composti e successivamente vanno ad alterare il sapore del latte materno.
Inoltre, esiste una predisposizione evoluzionistica verso il sapore dolce, in quanto viene associato all’alto contenuto di energia e alla non nocività dell’alimento.
Contrariamente, amaro e acido vengono naturalmente associati alla tossicità dell’alimento. Il sapore salato e quello umami vengono, invece, acquisiti dal quarto mese.
Durante lo svezzamento, il bambino si predispone a provare e a sperimentare i nuovi alimenti proposti ed è quindi un momento fondamentale per la determinazione delle preferenze alimentari.
Differentemente, tra i 18 e i 24 mesi è possibile riscontrare un periodo di rifiuto verso la sperimentazione di nuovi cibi.
D’altro lato, diversi studi testimoniano come le scelte alimentari siano frutto di un acquisizione mediante condizionamento classico, un tipo di apprendimento per cui uno stimolo originariamente neutro, ovvero uno che in questo caso non provoca la fame, è in grado di provocarla in seguito all’associazione con uno stimolo che normalmente provoca questa risposta, come per esempio la presentazione del cibo in tavola.
Concretamente: se durante lo svezzamento, momento in cui il bambino inizia ad assaggiare alimenti nuovi, gli presento ogni volta il cibo subito dopo aver, per esempio, dato due colpi di tosse, il bambino inizierà ad associare la tosse alla presentazione del cibo e si aspetterà il cibo ogni qualvolta verrà presentato lo stimolo neutro, la tosse.
In seguito vedremo come le emozioni possano rappresentare lo “stimolo neutro”.
Nella creazione di queste associazioni possono giocare un ruolo importante la famiglia, la cultura d’appartenza, la società, lo stile di vita etc.
2. La regolazione emotiva in infanzia
Imparare a riconoscere e regolare le proprie emozioni è una capacità fondamentale che il bambino deve poter sviluppare appieno durante la sua crescita.
Tale capacità è strettamente connessa all’espressività emotiva, alle capacità cognitive, alla modulazione attentiva e al controllo degli impulsi comportamentali.
Di pari passo, si sviluppa la capacità empatica di capire le intenzioni, le emozioni e le aspettative altrui e di regolarsi in base ad esse, creando relazioni interpersonali positive e riuscendo ad affrontare quelle conflittuali.
Al contrario la diregolazione emozionale è connessa a difficoltà significative nella modulazione del proprio comportamento che andrà ad influire negativamente sull’adattamento sociale a livello amicale, familiare e scolastico.
Marsha Linehan, ritrova alla base della disregolazione emotiva la vulnerabilità emotiva che si caratterizza di tre elementi specifici:
- Un’elevata sensibilità agli stimoli di matrice emotiva;
- Un’intensa reattività agli stimoli emotivi;
- Un ritorno lento allo stato emotivo basale, successivo all’attivazione emotiva.
3. I disturbi emozionale
Tali difficoltà possono declinarsi in disturbi di tipo internalizzante o esternalizzante, a seconda delle strategie “maladattive” che vengono messe in atto:
- I disturbi emozionali di tipo internalizzante vengono caratterizzati da manifestazioni comportamentali di ipercontrollo, eccessiva tendenza a voler regolare i propri stati emotivi e cognitivi sfociando in condizioni di ansia, tristezza, bassa autostima, vergogna, paura, ritiro e sintomatologia psicosomatica.
- I disturbi emozionali di tipo esternalizzantepresentano, invece, manifestazioni di rabbia, sofferenza e disagio in modo incontrollato. Si ha la credenza che i propri bisogni abbiano la precedenza, e ciò può concretizzarsi nel ricorso all’aggressività verbale e/o fisica, nell’impulsività, nell’iperattività, nell’irascibilità, nell’eccessiva esuberanza o addirittura nei disturbi della condotta con agiti oppositivi o provocatori.
4. Regolare le emozioni
E’ inoltre interessante notare quanto la difficoltà di gestione emotiva sia fortemente correlata alla capacità di modulazione dell’attenzione: focalizzare e dirigere la propria attenzione implica la consapevolezza dei propri vissuti emotivi, con la possibilità di poterli modulare e controllare.
Allo stesso modo la capacità di modulare la propria attenzione consente di focalizzarsi maggiormente sulle sensazioni coordinandole fra di loro, e di regolarne le reazioni più facilmente con risposte emotive e comportamentali organizzate.
Quindi, i bambini con maggiore competenza nella regolazione delle emozioni e che presentano maggiore sicurezza emotiva, riescono ad elaborare più abilmente le informazioni, con migliori prestazioni di apprendimento e di abilità cognitive.
Infine, la disregolazione emotiva può associarsi anche a comportamenti alimentari disfunzionali, mediante strategie che il bambino può mettere in atto per abbassare l’attivazione emotiva (per esempio, come già detto precedentemente, controllando rigidamente il consumo di cibo o, al contrario, iper alimentandosi).
5. Le emozioni e il cibo
Esiste una stretta relazione tra emozioni e cibo.
Può capitare, che il cibo venga utilizzato non per la sua normale funzione biologica ma come strumento di gestione delle emozioni, per lo più di quelle sgradevoli.
Le emozioni, infatti, hanno effetti sia sui nostri pensieri che sui comportamenti e non è inusuale trovare ragioni di tipo emotivo alla base del comportamento alimentare, ciò però può portare ad un rapporto conflittuale con il cibo o addirittura a disturbi del comportamento alimentare.
Il cibo, nella nostra quotidianità, gioca un ruolo molto importante anche a livello sociale: associamo la condivisione e il consumo di cibo a momenti di festa e di gioia o al contrario possiamo utilizzarlo come consolazione in momenti di sconforto, che prescindono dalla fame.
Nonostante le motivazioni per cui si mangia siano distinte, non sempre riusciamo a riconoscerle; è però importante cercare di distinguere quando si mangia per necessità, dato un deficit di energia e quando si mangia perchè in presenza di emozioni ritenute sgradevoli e non per un reale fabbisogno energetico.
6. Riconoscere la fame fisica da quella emotiva
Per quanto riguarda la fame fisica:
- Arriva gradualmente;
- È possibile aspettare prima di soddisfarla:
- Può essere soddisfatta da diverse tipologie di cibi;
- Termina al raggiungimento di una sensazione di pienezza allo stomaco;
- Successivamente non proviamo sentimenti di colpa o vergogna o ancora una sensazione di sconfitta.
La fame emotiva invece:
- Arriva all’improvviso;
- Richiede di essere soddisfatta immediatamente;
- Pretende “comfort foods”, come patatine fritte e cioccolato;
- Anche quando ci si sente pieni, non viene soddisfatta;
- Spesso viene seguita da sensi di colpa, vergogna e sconfitta.
In quest’ultilma, il cibo viene utilizzato, in modo automatico e spesso inconsapevolmente, per sentirsi meglio.
7. Sensi di colpa da fame emotiva
L’emozione negativa, però, rimane e ad essa si aggiungono sensi di colpa e di fallimento per ciò che abbiamo mangiato, che continuano ad alimentare l’emozione stessa.
Ciò causa un circolo vizioso in cui, se mi sento triste ho bisogno di trovare conforto e se il conforto lo associo al cibo, sentirò il bisogno di mangiare. Nonostante dopo aver mangiato si possa presentare una temporanea sensazione di benessere, successivamente arriverà il senso di colpa, che andrà a sommarsi all’emozione negativa, da cui poi ricomincerà il circolo.
Può capitare a tutti di sperimentare la fame emotiva in un certo momento, ma il protrarsi di questa nel tempo è sicuramente dannoso e disfunzionale.
Il cibo può ricoprire un ruolo importante nel processo di regolazione emotiva, in quanto ha valore di anestetico o regolatore di stati emotivi più spiacevoli come la paura, l’ansia, la tristezza e la rabbia. Chi sperimenta l’ansia ad un’alta intensità, potrebbe mettere in atto strategie difensive, come per esempio cercare di esercitare un controllo molto rigido sulla sua vita e ciò potrebbe estendersi anche all’alimentazione, per regolare gli stati emotivi e per evitare o inibire l’esperienza emozionale.
8. Mindfulness
“Mindfulness” significa prestare attenzione al momento presente, in modo intenzionale e non giudicante.
E’ un approccio che deriva e si basa sulla meditazione di consapevolezza, tra le principali meditazioni del buddhismo classico, e ci aiuta a relazionarci in maniera diversa con ciò che ci causa disagio.
La mindfulness, ad oggi è in tutto e per tutto una pratica basata su evidenze scientifiche e viene applicata in contesti clinici ed ospedalieri attraverso protocolli specifici.
Alla base, per comprendere la sua natura e il suo scopo, troviamo la relazione tra mente e corpo, e tra pensieri e salute.
Ad ogni incontro, vengono praticati esercizi di mindfulness di diverso genere, in cui si focalizza l’attenzione su determinate sensazioni corporee o azioni (come il respiro), con un atteggiamento accettante e non giudicante, per una durata variabile da incontro a incontro.
L’obiettivo è quello di andare ad eliminare la sofferenza “inutile”, esercitando una consapevolezza ed un’accettazione profonda di ciò che accade nel momento presente, tramite un lavoro attivo circa i propri stati e processi mentali.
9. Mindfulness in età evolutiva
Esistono diversi protocolli specifici a seconda del contesto, dell’utenza e della necessità.
Tra questi troviamo anche la mindfulness in età evolutiva, che può svolgere una duplice funzione: può mirare ad aiutare bambini in difficoltà e può porsi come strumento fondamentale per l’acquisizione di competenze prosociali, di capacità cognitive e di tolleranza della frustrazione.
Diversi studi hanno dimostrato l’effetto di semplici pratiche di mindfulness in età evolutiva circa lo sviluppo di abilità sociali ed emotive.
Nello specifico, da uno studio della University of British Columbia è emerso come i bambini che avevano preso parte alle pratiche di mindfulness presentassero strategie di regolazione dello stress più efficaci, maggiore collaborazione ed ottimismo ed anche prestazioni scolastiche migliori in matematica.
Inoltre, la mindfulness risulta utile anche per comportamenti legati all’attenzione, all’impulsività, alla consapevolezza, all’inibizione di risposte automatiche e all’autocontrollo in bambini con ADHD.
La Mindfulness agisce quindi sull’attenzione e sulla consapevolezza, che porterebbero ad un minor numero di comportamenti alimentari incontrollati e in generale una minore difficoltà nella regolazione alimentare in risposta a stimoli esterni o allo stimolo della fame.
Inoltre, è possibile controllare anche il consumo di calorie.
Ciò non ci deve però portare a pensare che la Mindfulness “remi” nella stessa direzione del bisogno di controllo rigido: un’importante questione infatti riguarda l’osservare, liberi dal giudizio, ciò che avviene dentro e fuori da noi.
Qui, verso noi stessi ci poniamo in modo benevolo e non accusatorio o controllante, senza però rimanere passivi.
10. Mindful Eating
La mindful eating si propone di aumentare la consapevolezza non giudicante delle sensazioni fisiche e delle emozioni mentre mangiamo, o mentre ci troviamo all’interno di un ambiente che associamo al consumo di cibo.
Viene utilizzata per trattare comportamenti associati al sovrappeso e all’obesità, come le abbuffate, i comportamenti alimentari problematici, il craving, ed è inoltre stato dimostrato che la pratica di mindful eating aumenti atteggiamenti e comportamenti positivi verso l’alimentazione.
Esistono diversi principi alla base della mindful eating, tra cui troviamo: valutare segnali di fame e sazietà, ridurre le porzioni, ridurre le distrazioni mentre si mangia e assaporare il cibo. Il primo principio, tocca un aspetto molto importante che abbiamo affrontato all’interno di questo articolo, ovvero la consapevolezza rispetto al tipo di fame e al senso di sazietà.
Il portare a termine il pasto è un comportamento determinato dalla distensione dello stomaco e da diversi ormoni intestinali.
11. La sensazione di sazietà
Sembrerebbe tardare data una differenza di tempistiche tra il meccanismo di deglutizione e di digestione e di assorbimento di cibo e nutrienti, supportando così, anche l’importanza di ridurre il consumo di cibo.
Inoltre, risultano elementi significativi, l’intelligenza emotiva e la valutazione del segnale della fame e del senso di pienezza.
Lo stress indotto e la fame emotiva, contruibuirebbero all’eccessiva assunzione di energie e di aumento del peso. La ricerca ha dimostrato come l’obesità sia correlata alla reattività emotiva e gli individui in questa condizione sono più propensi ad essere ingaggiati nella fame emotiva rispetto ad individui normo peso.
In conclusione praticare la mindfulness e la mindful eating può essere un modo valido per facilitare un approccio più positivo al cibo già durante l’infanzia