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Mio figlio è un “Hikikomori”?

hikikomori

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Hikikomori: definizione, segnali e interventi precoci per gestire il ritiro sociale negli adolescenti.

1. Hikikomori: definizione

“Hikikomori” è un termine giapponese che descrive un particolare disturbo psichiatrico che si manifesta attraverso ritiro sociale, auto-esclusione dal mondo esterno, isolamento e rifiuto totale per ogni forma di relazione fino ad arrivare a sigillare le finestre per non entrare in contatto con la luce esterna.

E’ un fenomeno assolutamente in crescita– soprattutto post pandemia che, ricordiamo, non ha “generato” nuove patologie, piuttosto è stato un fattore che ha fortemente contribuito a slatentizzare quegli stati disfunzionali che si mantenevano compensati in assenza di uno stressor così pervasivo.

2. Caratteristiche dei soggetti hikikomori

Nonostante sia un disturbo che ha varie sfumature, sembra essere predominante in soggetti che presentano alcune caratteristiche:

3. Hikikomori: fase di passaggio o patologia?

Infatti, discriminare un corredo sintomatologico collegato a questa forma di ritiro sociale, vuol dire tenere conto di particolari elementi.

Primo fra tutti “da quanto tempo” il paziente (che spesso è adolescente) manifesta questo comportamento.

E’ importante per capire se possa trattarsi di una fase di passaggio o se, invece, si stia strutturando effettivamente un quadro patologico in tale direzione.

4. Hikikomori: conclusioni

Bisogna, poi, staccarsi dallo stereotipo del soggetto isolato poiché senza adeguate risorse: infatti, la tendenza a questa forma di ritiro sociale, spesso deriva proprio dalla paura di non riuscire a tollerare ciò che comporta l’autorealizzazione ed autoespressione in un contesto così competitivo.

Per spiegare meglio: “quanto più potresti realizzarti, tanto più è lecito che tenda a sottrartene per il peso delle aspettative e, quindi, la gestione di ciò che gravita intorno ad un processo di compimento.

Aggiungo, poi, quanto posso osservare dall’esperienza clinica; ovvero, anche nelle fasi iniziali, i pazienti sono già in una dimensione di ritiro e quindi poco inclini ad un “aggancio” terapeutico.

Quindi, soprattutto nel caso di minori, il mio consiglio è che i genitori consultino gli specialisti e seguano tutte le indicazioni non solo di tutela del minore spronando l’intervento su di esso, ma trovando risposta ad una domanda ben precisa: “come posso rispondere ai “nuovi” bisogni di mio figlio nel miglior modo possibile?”.

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