SILENZIO
Dott.ssa Stefania Ravasi

Dott.ssa Stefania Ravasi

Il silenzio degli adolescenti

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Da chiacchieroni, allegri e disponibili a silenziosi, taciturni e impenetrabili: all’improvviso, i genitori faticano a riconoscere i propri figli e a trovare il modo giusto per relazionarsi e comunicare con loro. Niente paura: è tutto nella norma e si chiama adolescenza!

1. Il silenzio durante l’adolescenza

Da chiacchieroni, allegri e disponibili a silenziosi, taciturni e impenetrabili: all’improvviso, i genitori faticano a riconoscere i propri figli e a trovare il modo giusto per relazionarsi e comunicare con loro.

L’adolescenza, lo sappiamo, riguarda non solo l’età che cambia, ma racchiude anche tanti altri aspetti tra cui sconvolgimenti ormonali, le trasformazioni fisiche anche a livello cerebrale, nuove sfide e nuove richieste da parte dell’ambiente (es. scuola), che inevitabilmente creano stati di intensa alterazione emotiva, troppo complicati innanzitutto da spiegare a se stessi e da comprendere, e di conseguenza da spiegare a parole agli altri, benché perfettamente normali.

La paura del figlio adolescente può dunque essere che, aprendo bocca, potrebbe svelare cose che per ora non è in grado di spiegare neanche a se stesso. Il silenzio degli adolescenti è una fase, una ‘normale’ tappa che rientra nel processo di crescita del preadolescente, non è sempre o solo sintomo di un qualche malessere.

Per questo i genitori non dovrebbero spaventarsi nel vedere che i figli vivono una sorta di altalena tra il bisogno da un lato di sentirsi ancora piccoli, con mamma e papà vicini e presenti, e dall’altro quello di esplorare e crescere ed essere autonomi. Un elastico di costante andata/ritorno che inevitabilmente comporta un viaggio costante sulle montagne russe, sia per i figli che non sanno se sono ancora bambini o già adulti, e di conseguenza come comportarsi, sia per i genitori, che non sanno che pesci pigliare.

È in questa situazione che il silenzio diventa una scelta, attraverso cui i ragazzi tentano di dimostrare a se stessi e esterno una prima certa indipendenza: non è necessariamente sintomo di un disagio e di ostilità, come spesso viene percepito dai genitori, si tratta piuttosto di una difesa dinanzi a una fase di transizione dall’infanzia all’età adulta in cui erte cose accadono senza sapere tanto bene perché ma soprattutto senza saperne l’esito.

Il mio corpo che cambia, come diventerò? Sto diventando adulto, quali responsabilità avrò? Sarà facile o difficile affrontarle? Potrò cavarmela da solo?

Riuscire a inserirsi in questo contesto per i genitori, che vorrebbero essere presenti per sostenere e accompagnare i figli in questa fase transitoria, è difficile.

Un inghippo sta nel fatto che il mondo dell’adulto codifica il silenzio come una cosa negativa: in realtà, è fondamentale per la costruzione della propria identità e per la riflessione che la sostiene.

2. Il silenzio è fisiologico

Capire che il silenzio è fisiologico aiuta a comprendere che il primo passo da fare è tollerare la marginalità che è loro richiesta, concependola non come un’esclusione e la diminuzione dell’affetto nei loro confronti, bensì come un’esigenza di crescita dei figli, che richiedono loro di rispettare i propri tempi.

In altre parole, vi stanno chiedendo di dimostrare loro la vostra fiducia, fiducia in tante cose: che ce la possono fare, fiducia rispetto al riuscire a tollerare una quota di riservatezza rispetto ad alcuni aspetti della loro vita (primi amori ecc…)…richiesta che non potete tradire: evitate quindi di forzarli a parlare e resistete all’istinto di investigare in tutti i modi per scoprire ciò che non dicono (magari sbirciando tra le sue cose o cercando informazioni di nascosto sul suo smartphone).

È comprensibile che l’angoscia e la preoccupazione di un genitore sia tanta, del resto si sta chiedendo di passare da una condizione di totale dipendenza di un figlio che prima aveva bisogno di lui in tutto e per tutto, a una condizione di maggior autonomia… è importante però non mettersi al livello del figlio, o lasciarsi sopraffare dalle emozioni, ma anzi stemperare la rabbia e la tristezza e la paura comprensibili (che facciano degli errori, dei grandi errori, di quelli che sembrano irreparabili, quelli per cui si pagano le conseguenze per molto tempo, che si caccino nei guai…) e capire che è una fase della vita necessaria, in una crescita che non riguarda dunque solo il figlio ma anche il genitore, e la relazione intercorrente tra i due.

Sicuramente mantenere un buon dialogo è comunque auspicabile, è giusto in un certo grado monitorare e informarsi, ma evitate di sommergerlo di domande continue che potrebbero esasperare e portare a un dialogo poco proficuo e da cui ne ricavereste ben poco;

un buon modo per evitare che il preadolescente si chiuda nel mutismo è trovare insieme soluzioni ai suoi problemi manifestando un reale interesse verso ogni aspetto della sua vita, non solo sulla scuola che certamente è un aspetto centrale della vita dei figli.

Cercate quindi di bilanciare anche prestando attenzione a ogni area di crescita del figlio, dai primi amori, alla vita virtuale, mostrando la capacità di ascoltarlo quando ne ha bisogno…così facendo non risulterete invasivi, bensì farete capire a vostro figlio l’interesse e il coinvolgimento emotivo a 360° che avete nei suoi confronti.

Rinforzate questo concetto anche spiegando verbalmente che il fatto che lui possa sentirsi bene e stare bene anche con gli amici e con se stesso, non solo con la scuola, per voi è la vostra priorità perché lui è quanto avete di più prezioso e importante.

3. Ulteriori considerazioni sul silenzio

Chiedere ‘come ti senti?’ piuttosto che “cosa fai/hai fatto?” pone l’accento su ciò che loro sentono e provano.

Sintonizzarsi emotivamente con lui e dimostrarglielo favorisce il messaggio che stare comprendendo o almeno cercando di comprendere ciò che sta attraversando e che desiderate fortemente fornirgli un supporto, e non solo regole e rimproveri.

Sempre rispetto a cosa può essere utile dire, anche qualcosa inerente la vostra di difficoltà come genitori, tipo ‘ho l’impressione che qualcosa non va, magari sbaglio, aiutami tu a capire‘, può aiutarlo a comprendere innanzitutto a capire che i momenti di confusione e le emozioni negative derivanti sono normali e fanno parte della vita: vedendo le difficoltà legittimate in voi adulti, consentiranno anche a loro stessi di farlo e dunque di sentirsi meno in colpa verso se stessi e verso gli altri.

Inoltre, ingaggiandolo chiedendo il suo aiuto, percepirà che davvero il vostro punto di partenza è come sta lui. Attraverso il riconoscimento del suo silenzio l’adolescente si sente riconosciuto anche come individuo indipendente e impara a stare, a rivolgere la propria attenzione anche verso il mondo interno, a riflettere e a fare imprimere le esperienze perché possano lasciare un segno di crescita utile per la vita futura.

In ultimo, non arrendetevi! Il compito più arduo è proprio quello di non sentirsi incapaci come genitori solo perché vostro figlio si sta “allontanando” da voi.

Ricordate che i cambiamenti di vostro figlio nei vostri confronti sono i segnali positivi della sua crescita e di conquista della sua autonomia, fattore indispensabile di costruzione dell’identità che gli servirà per stare bene nel mondo, anche in età adulta.

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Articolo realizzato da:
Dott.ssa Stefania Ravasi
Psicologa psicoterapeuta dell’età evolutiva
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